Il Centro Studi Nat Scammacca il 26.04.2019 Ore 18, ha il piacere di presentare Nicola Lo Bianco

Il Centro Studi Nat Scammacca il 26.04.2019 Ore 18, ha il piacere di presentare Nicola Lo Bianco

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IN CITTA’ AL TRAMONTO 

di Nicola Lo Bianco

SINOSSI

 

Sette racconti più o meno brevi, più o meno poetici,  che vede come protagonista, attraverso personaggi ai margini della vita sociale,  quella che normalmente potrebbe definirsi “follia”.

Esemplare in questo senso la figura di Cristofalo(dialettale per Cristoforo), che, commesso un omicidio per vendicare l’uccisione del nonno, trascorre una vita da emarginato, in volontaria, diciamo così, latitanza, in consapevole espiazione del delitto commesso.  O anche il personaggio di Isidoro ( LA TESTA AGITATA DI ISIDORO), uno degli ultimi reclusi in manicomio, che in pieno delirio immagina di incontrare “ il dott. Falcone”, o anche di uccidere il Direttore e l’infermiere. Di Isidoro spicca il linguaggio strampalato, ma anche crediamo denso di pathos e di accenti poetici. Altra figura che ci sembra interessante per capire il clima e la tensione narrativa è quella di Agostino, “LE COSE DA FARE DI AGOSTINO”.

Un uomo semplice, ingenuo, quasi fanciullesco, che s’era creato una specie di mito del pane, un ideale del suo mestiere di fornaio. A più di 50 anni si ritrova disoccupato e trascorre le sue giornate a immaginare come occupare il tempo, fino ad un impeto di “follia”  che quasi lo porta al suicidio, casualmente sventato dall’ incontro con un ambulante tunisino. C’è anche un racconto dedicato al primo vero autentico pentito di mafia, “Io, Leonardo, seminfermo di mente”, che cerca di capire i tumulti della coscienza di questo giovane uomo , ucciso dalla mafia, mentre usciva dal sentir messa, dopo essere stato dichiarato “seminfermo di mente” ed avere trascorso alcuni anni in manicomio criminale. Tra Marò e Fifì(COME FINI’ LA GUERRA TRA MARO’ E FIFI’), marito e moglie, avvinti da un odio reciproco, già separati, la guerra continua anche nell’ aldilà, quando Marò, morta trent’anni prima relativamente giovane, si mette in attesa dell’arrivo di Fifì morto vecchio, per sbugiardare il suo eterno “nemico”  “di fronte ai lumini dei morti” ,  con relativa reazione  di quest’ultimo.  Uomini e topi . Un topo morto in bella vista in un ospedale pubblico: non si sa di chi è la competenza, nessuno vuole rimuovere il topo. In un crescendo di ridicola impotenza, di umoristiche prese di posizione e battibecchi, la “questione” diventa pasto di giornali e massmedia, con relativo intervento del Ministero. Sottolineiamo che il racconto ha la caratteristica di essere corale, nel senso che il “fatto” viene raccontato da chi ha assistito, dall’opinione di pazienti e personale, dall’ironico scoop del giornalista, dallo scambio di telefonate tra chi dovrebbe essere responsabile dell’igiene pubblica.

Infine, un fatto di cronaca di “ordinaria follia”:un extracomunitario, un tunisino, che dice di chiamarsi Khaled, in piena notte al porto si getta in mare e nuota per “prendere il largo”.Viene salvato da Guardia Costiera, Pompieri, Carabinieri, ecc., e, interrogato, dichiara che voleva raggiungere il suo paese a nuoto, vivo o morto. A uno sguardo complessivo, ci si accorge che i vari personaggi dei sette racconti compongono un mosaico umano, morale e sentimentale, un clima di una città, in questo caso Palermo, rivissuta con ironica dolente partecipazione, nella sua atmosfera drammatica che talora volge al comico. Della mia scrittura si potrebbe dire, parafrasando Montale,  : … “una prosa che tende alla poesia e viceversa”.

Nicola Lo Bianco

https://natscammacca.eu/2019/04/20/presentazione-a-erice-presso-il-centro-studi-nat-scammacca-il-26-04-2019-ore-18-il-libro-in-citta-al-tramonto-di-nicola-lo-bianco/

IN CITTA’ AL TRAMONTO DI NICOLA LO BIANCO

Una metafora della città

L’opera di Nicola Lo Bianco “In città al tramonto”(Bastogilibri) è un condensato di storie, immagini, visioni che connotano una città, Palermo, raccontata da personaggi che, pur essendo ai margini della società, sono ricchi di liricità ed umanità. Rappresenta una vera novità letteraria in quanto è una scrittura di notevole energia e vitalità in cui risalta soprattutto l’umanità dei personaggi. Il Nostro poeta, come da cantastorie popolare, ci regala un gioiello di sette racconti di prosa poetica i cui protagonisti, in parte folli e visionari, diventano man mano emblemi di una condizione tragicomica della vita, riuscendo a trasmettere, nonostante i loro drammi e le contraddizioni, valori di giustizia, fedeltà, libertà. Tuttavia, la modernità della narrazione di Nicola Lo Bianco consiste non solo nell’energica espressività della prosa poetica, ma soprattutto nel linguaggio e nello stile di vivace coralità. Spesso  la mancanza di punteggiatura e di cesure presente in alcuni testi sembra riecheggiare lo stile dei poeti del Primo Novecento, mentre i dialoghi dei vari personaggi, vivificati da una commistione di lingua e dialetto, fanno pensare allo sperimentalismo linguistico dei grandi scrittori delle Neoavanguardie, ne è un esempio la sezione “Cristofalo”, in cui si parla della figura di questo presunto “folle”, il quale, dopo avere ucciso gli assassini di suo nonno, conduce una vita ai margini della società, una specie di cosciente clochard  quasi a espiazione della sua colpa.

Un altro esempio è il monologo un po’ strampalato e surreale,  capace però di  inquietanti visioni apocalittiche, del commovente  personaggio di Isidoro:  un lucido, diciamo così, malato di mente e recluso in manicomio. << Io malatu sugnu? ‘Un sugnu malatu. Dici ca sono malato. Non/sono malato, sono fatto di cristallo fino./Toccami. Mi tocco e mi rompo, ma non sono malato . . ./è ca m’insonnu tanti testi appizzati/ […].   

Insomma, le radici di Nicola Lo Bianco, quelle che il poeta Crescenzio Cane ebbe a definire “sicilitudine”, in questi racconti emergono nello stile colloquiale che aderisce al parlato e nel linguaggio misto di lingua e dialetto proprio delle plebi del sud, di ascendenza verghiana, ma qui trasposto in area metropolitana, nella precarietà della condizione dei diseredati, degli esclusi. Difatti, molte espressioni colorite quali “vecchiu arripuddrutu”, “quattru ossa ncatinati”, “coppola di minchia”, connotano  in senso caricaturale certe situazioni, ma non mancano di afflato lirico.

Il Nostro autore sembra però volerci trasmettere un messaggio di matrice quasi dostovjeskiana: la bellezza che salverà il mondo si trova negli ultimi, nelle creature del dolore e della sofferenza.

Prof/ssa Giusi Bosco

ROSSO FUOCO COME UN TRAMONTO PALERMITANO. Per una recensione del libro di Nicola Lo Bianco “In città al tramonto”

di Piero Carbone

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